Tessuto Adiposo: Dottor Jekyll e Mister Hyde

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Fat tissue. Coloured scanning electron micrograph (SEM) of a sample of fat tissue, showing fat cells (adipocytes, red yellow) surrounded by fine strands of supportive connective tissue. Adipocytes are among the largest cells in the human body, each cell being 100 to 120 microns in diameter. Almost the entire volume of each fat cell consists of a single lipid (fat or oil) droplet. Adipose tissue forms an insulating layer under the skin, storing energy in the form of fat, which is obtained from food. Magnification: x300 when printed 10 centimetres wide.

Origini e reductio ad absurdum

La spinta evolutiva del regno animale verso un aumento delle dimensioni corporee e maggiori richieste di energia adeguate a una vita più attiva o a climi freddi e rigidi, ha sollevato il problema non solo di come ricavare più energia, ma anche di come stoccarla in depositi non troppo ingombranti e di ostacolo funzionale.

Un aumento di superficie di assorbimento dei nutrienti e parallelamente un’implementazione dei processi metabolici ci ha permesso di far fronte a queste esigenze. 

Protagonista di questo breve articolo di approfondimento è il tessuto adiposo, o volgarmente detto “il grasso”, e per conoscerlo meglio bisogna partire dall’ABC (perché lo abbiamo, perché è fatto così), fino a domandarci a cosa serve, quanti tipi ne esistono e, nell’occasione, sfatare qualche falso mito.

Perché l’avvicendarsi di mutazioni e selezione naturale ha portato a immagazzinare energia sotto forma di trigliceridi e non in altre molecole, a funzione principalmente energetica, come i carboidrati?

In primis, i carboidrati sono pacchetti meno densi di energia. Basti riflettere sul nome: “idrati del carbonio”. C’è carbonio e acqua nella struttura molecolare.

Il monosaccaride che si assembla in glicogeno, riserva energetica di più immediata utilizzazione del quale ne abbiamo mediamente 400-500 g, è il glucosio. 

1 g di glicogeno ha potere osmotico inferiore a quello del glucosio perché è “glucosio condensato” (con meno legami idrofili esposti), ma di gran lunga superiore ai trigliceridi: richiama infatti ben 2.5-3 g di acqua.

Per converso, 1 g trigliceridi, essendo molecole idrofobe che significa che con l’acqua non ci vanno molto d’accordo, richiama infatti soltanto 0.2 g di acqua.

Se abbiamo in media, in un soggetto adulto maschile normopeso, 13 kg di tessuto adiposo di cui 11.7 kg (90% circa) in forma di trigliceridi, significa che il tessuto adiposo conterrà 2.3 litri di acqua. 

A parità di peso, se avessimo il glicogeno al posto dei trigliceridi, il tessuto accumulerebbe tra 29 e 35 litri di acqua. Con l’ulteriore aggravante che il potere calorico, l’energia liberata dalla digestione di un carboidrato, è inferiore: 1 g di carboidrato fornisce in media solo 4 kcal, mentre 1 g di grassi ne fornisce 9, più del doppio.

In conclusione, gli 11.7 kg di trigliceridi endogeni forniscono 105300 kcal, contro le 46800 kcal che fornirebbe la stessa quantità di carboidrati.

Data una lunga e travagliata storia evolutiva in cui l’uomo ha dovuto affrontare settimane o mesi di penuria alimentare fino al digiuno quasi assoluto, è più che sensato sul piano adattativo-metabolico, che imparassimo a conservare energia sotto forma di trigliceridi, che ci garantissero così di sopravvivere per lunghi periodi di magra senza arrivare a cannibalizzare muscoli, ossa e organi vitali.

Nell’economia dei processi di auto conservazione, vien da sé che non ci si debba stupire che il tessuto adiposo, oltre a stoccare un’enorme quantità di energia (7000 kcal per kg di grasso), non ne spenda altrettanta per mantenersi in funzione: da studi che indagano le componenti del metabolismo basale, l’energia consumata soltanto per restare in vita, è emerso che 1 kg del nostro adipe in media brucia solo 4-5 kcal, contro le 13-17 kcal del muscolo, le 240 kcal del sistema nervoso e le 400 kcal del cuore. 

Struttura, tipi e funzioni del tessuto adiposo

Ma il tessuto adiposo serve solo a questo? Ce n’è di un unico tipo? È un tessuto inerte che serve solo come contenitore di grandi gocce di trigliceridi? 

Oltre alla sua indiscutibile funzione ben nota e argomentata, bisogna far notare che questo tessuto è un tipo di tessuto connettivo che ha la stessa origine embrionale del tessuto connettivo propriamente detto. Ma a differenza di quest’ultimo, è altamente specializzato. Non tanto per il tipo di matrice extracellulare che circonda, nutre, regola e mantiene in posizione le cellule del tessuto (scarsamente rappresentata), ma per la precisa istologia, per cosa c’è all’interno di quelle cellule.

E qui in realtà, nel caso dei mammiferi, inclusa la specie umana, ci troviamo di fronte a un bivio: nel processo di differenziamento embrionale, in base a un programma geneticamente codificato e sotto l’azione di molecole segnale, possono derivare due diversi tipi cellulari, che daranno origine uno al tessuto adiposo bianco e l’altro al tessuto adiposo bruno. Si potrebbe fare una lunga digressione sulle recenti scoperte in merito a tessuto adiposo bruno e aumento della spesa energetica e di come l’esposizione al freddo possa indurre un aumento della sua produzione; tuttavia, per gli scopi della presente trattazione, ci limiteremo a farne un rapido identikit.

Il tessuto adiposo bruno è un tessuto altamente vascolarizzato distribuito in piccoli agglomerati nella regione interscapolare, perirenale, sopraclavicolare, a livello del collo e lungo il midollo spinale.

La termogenesi è la sua specialità: processo metabolico che porta alla generazione di calore che riscalda il sangue e viene così trasportato a livello sistemico. Il grasso bruno si deposita durante la fine del secondo trimestre di gravidanza e protegge i neonati dal freddo per compensare maggiore dissipazione del calore, ridotta vasocostrizione e incapacità al brivido: caratteristiche queste ultime che si sviluppano in seguito e che costituiscono la ragione per cui questo tessuto regredisce, considerato che l’essere umano non va mai in letargo. 

Va incontro al fenomeno opposto il tessuto bianco, che deve questo aggettivo al non avere affinità con i coloranti idrofili usati in microscopia.

Il tessuto adiposo bianco inizia a svilupparsi nel secondo trimestre di gravidanza e, entro la nascita, tanto quello sottocutaneo interposto tra cute e muscolo, tanto quello in sede addominale attorno ai visceri, si sono ben insediati e lì rimarranno e ci accompagneranno, variando da circa il 10 fino anche all’80% del totale della massa corporea, per il resto della vita.

Assurgendo a modelli standard un uomo adulto di 70 kg e una donna adulta di 60 kg che godono di ottima salute, ci sono rispettivamente 10-20 kg e 20-30 kg di grasso, e si tratta quasi esclusivamente di tessuto adiposo bianco.

Le cellule del tessuto adiposo bianco hanno un diametro maggiore del tipo bruno, perché oltre il 90% dello spazio intracellulare è riempito da una singola goccia lipidica di trigliceridi e il restante 10% consiste nel sottilissimo velo di citoplasma che lo circonda, organuli cellulari, nucleo e membrana plasmatica.

L’aspetto curioso è che questa goccia lipidica di cospicue dimensioni non è immutabile, ma può accrescersi o ridursi in rapporto a quanti cargo di lipidi (le meglio conosciute lipoproteine come i chilomicroni e VLDL), raggiungono tramite i capillari sanguigni gli interstizi tra le cellule. 

A questo punto è utile spendere qualche riga in più: il tessuto adiposo aumenta di volume tramite il processo di iperplasia, che porta all’aumento del numero complessivo di adipociti, e l’ipertrofia, che porta all’aumento del loro volume, senza indurre in alcun modo il differenziamento di cellule precursori in adipociti maturi. 

Al netto dei primi anni di vita e di obesità grave dove le cellule adipose sono “sovrasature”, ingrassare (= mettere su massa grassa) equivale prevalentemente a far rimpinguare le grosse gocce lipidiche degli adipociti bianchi, quindi stimolare l’ipertrofia. L’abilità di passare da un diametro di 30-40 micron a uno superiore a 100 micron e, parimenti, di poter aumentare di volume di un fattore superiore a 10, è prerogativa unica degli adipociti bianchi. Nessuna altra cellula del corpo umano può crescere diametralmente e volumetricamente così tanto. Per dare un’idea, in un soggetto obeso il volume degli adipociti tende a raddoppiare rispetto a un normopeso e passare da 25-30 miliardi fino a 40-100 miliardi di cellule adipose.

Da una struttura deriva una funzione (e viceversa, il rapporto è biunivoco): il tessuto adiposo bianco è fatto così perché vanta il ruolo principale di accumulare o mobilitare energia in base alle esigenze fisiologiche dell’organismo. 

Vista questa funzione essenziale, tuttavia, nonostante fino a pochi anni fa si ritenesse essere un tessuto inerte e pigro, la letteratura più recente ha messo in luce che per fare quello che fa, la cellula adiposa deve percepire l’ambiente interno e quello circostante, sia nelle immediate vicinanze che in distretti anatomici più remoti (se abbiamo fame, se dobbiamo fare una corsa, se le nostre riserve di grassi sono sufficienti per sopravvivere o per riprodurci), sintetizzare delle molecole (dette adipochine) e consegnare il loro rapporto finale a vari organi endocrini (come il pancreas), al sistema immunitario e, non ultimo per importanza, nel centro di controllo superiore del nostro corpo: il sistema nervoso; nella fattispecie, a livello dei nuclei ipotalamici impegnati nella regolazione di fame e sazietà.

Salvo che in alcune atlete professioniste, l’evidenza che nel sesso femminile c’è circa un 10% in più di tessuto adiposo si spiega nella maggiore percentuale di grasso essenziale, così nominato perché non dovremmo farne a meno per non passare, nel breve e medio termine, a una condizione di “risparmio energetico” che ci obnubila cognitivamente, affatica fisicamente e ci impedisce di generare prole; e, nel lungo termine, per non compromettere la nostra salute psicofisica. 

Il grasso essenziale, per intenderci quello che costituisce l’impalcatura delle membrane cellulari, la guaina mielinica che riveste alcune fibre nervose e quello di protezione meccanica sito all’interno di midollo osseo, intestino, reni, cuore, fegato e milza, dovrebbe essere, in una donna e uomo adulti normopeso, del 12% e del 3-5% rispettivamente. 

Questa discrepanza tra i due sessi trova il suo razionale nella biologia: è la donna che partorisce e allatta, e in questa ottica il tessuto adiposo bianco è essenziale per una corretta funzione del sistema riproduttivo: il che include la capacità di secernere ormoni sessuali che favoriscono la maturazione delle gonadi e la sintesi dei gameti, ma anche la produzione di latte. 

Una massa grassa estremamente ridotta che si osserva nella magrezza estrema e nelle lipodistrofie, provoca amenorrea che può determinare sul lungo periodo infertilità; viceversa, troppa massa grassa, soprattutto in età pediatrica e negli adolescenti, dove si registra un trend di aumento di prevalenza e incidenza di sovrappeso e obesità, può condurre a pubertà precoce.

Chiamiamolo come si dovrebbe

A chiosa di tutte le osservazioni fatte finora, emerge che Il nostro odiato adipe meriterebbe in realtà di surclassare dalla definizione di tessuto a quella di un vero e proprio organo, per riconoscere le innumerevoli funzioni a esso attribuite. 

Quelle storicamente note di riserva energetica, isolamento termico e sostegno e protezione meccanica degli organi interni; a cui si sommano quelle di più recente acquisizione della ricerca. 

Qui riportati i principali: controllo della pressione arteriosa, modulazione della sensibilità insulinica, controllo del senso di fame, degli introiti e della spesa energetica, regolazione di metabolismo lipidico, produzione di estrogeni, adipochine, fattori di crescita, riserva di cellule staminali. protezione degli organi dalla lipotossicità, angiogenesi (formazione di nuovi vasi), supporto al sistema immunitario, partecipazione a processi infiammatori e risposta alla fase acuta.

Simbionte benefico e patogeno opportunista

Si sarà già sentito almeno una volta parlare di patogeni primari e patogeni opportunisti: i primi sono sempre in grado di indurre malattia a prescindere dallo stato di salute dell’ospite, i secondi sono incapaci di causare malattia in individui sani e immunocompetenti, mentre infettano soggetti immunocompromessi o che versano in uno stato di infiammazione sistemica cronica. 

il tessuto adiposo si comporta come un patogeno opportunista: soprattutto quello addominale, il più attivo dal punto di vista endocrino, se iperalimentato, causerà danni all’organismo perché in stato di forte stress e per adattarsi predisporrà a un effetto domino catastrofico.

Il tessuto adiposo e gli organi che esso avvolge e permea sono meno irrorati e pertanto viene compromessa la diffusione dell’ossigeno. 

Visto che le nostre cellule respirano, cioè hanno un metabolismo ossidativo, l’ipossia conseguente rappresenta da sola il primo segnale di allarme, che modifica lo stato “on-off” di più di 1000 geni e funge da trigger per una serie di risposte che in ultimo conducono a resistenza all’azione dell’insulina e al segnale adrenergico, aumento di infiammazione e danno cellulare. 

E le cellule danneggiate dall’ipossia vanno incontro a necrosi, una morte traumatica e disadattativa per il nostro organismo che alimenta il circolo vizioso dell’infiammazione. 

Le cellule immunitarie sono, infatti, coinquiline naturali degli adipociti.

Un tessuto adiposo magro è comunemente abitato da cellule immunitarie con ruolo primario regolatorio e immunosoppressivo, come i linfociti TH2, T Helper, eosinofili e macrofagi M2. Questi ultimi nello specifico agiscono come spazzini degli adipociti morti, inibiscono la proliferazione dei progenitori degli adipociti e secernono citochine antinfiammatorie.

Viceversa, un tessuto adiposo molto grasso rilascia citochine proinfiammatorie e chemochine che promuovono l’infiltrazione di cellule immunitarie che amplificano il segnale infiammatorio.

Se le cellule adipose muoiono o viene superata la loro capacità di incamerare gli acidi grassi saturi di cui i trigliceridi sono i carrier, questi formano depositi ectopici (extra organo adiposo) a livello di tessuto connettivo, matrice extracellulare dei tessuti, fegato, muscoli scheletrici e altri organi, con l’eccezione, per nostra fortuna, del sistema nervoso, protetto dalla barriera ematoencefalica. 

Insomma: la lipotossicità è la chiave che spalanca le porte verso infiammazione cronica e la sindrome metabolica, termine ombrello che racchiude ipertensione, intolleranza al glucosio fino al diabete di tipo II conclamato, ma anche steatosi epatica che esita negli altri stadi successivi dell’ insufficienza epatica.

Conclusioni e take-home message

Quelle addotte finora sono argomentazioni abbastanza persuasive sia sull’importanza del ruolo dell’organo adiposo quando è contenuto e altresì funziona bene, sia sulla sua cattiva influenza se si espande oltre misura e perciò funziona anche male. 

Per tirare le somme, quale potrebbe essere il take-home message di questo approfondimento nelle viscere del nostro adipe? 

Senza dubbio ci pone le basi per una oculata riflessione sul proprio stile di vita a 360 gradi, perché l’obesità, patologia cronica multifattoriale non trasmissibile, dipende solo per il 25% da fattori genetici (la cosiddetta “familiarità”); e perché, indipendentemente da presenza o meno di eccesso ponderale e quindi di bilancio energetico cronicamente positivo, anche una misura elevata della circonferenza addominale, proxy dell’entità del grasso viscerale, costituisce singolarmente un fattore di rischio cardiovascolare, tumorale, di riduzione dell’aspettativa di vita e di aumento della mortalità.  

Alimentazione quantitativamente e qualitativamente bilanciata, abbinata ad attività fisica costante e moderata, fanno la parte del leone a scongiurare spiacevoli sorprese nei referti delle nostre analisi del sangue, spesso la prima spia di uno squilibrio introiti/consumo energetico e che l’organo adiposo, per citarne uno, è troppo infiammato e affaticato. 

Come per le nostre scelte alimentari, cautela ma non ossessione: il nostro grasso, quello fisiologico, è un simbionte indispensabile: a lui dobbiamo l’essere sopravvissuti nella preistoria e l’essere tuttora vivi, felici, sazi, prolifici, performanti, inespugnabili, ma anche esteticamente attraenti. 

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Biologa Nutrizionista, affamata di scienza e con il pallino per la scrittura. Nei limiti del fabbisogno informazionale dell’utente medio, scrivo articoli a tema alimentazione e nutrizione umana per incuriosire, appassionare, ma anche educare a un rapporto sano con il cibo e con il proprio corpo.