INTRO: definizione, composizione chimica, proprietà e classificazione
Disimparare quello che si ha ingannevolmente imparato dalle più ricercate fonti di disinformazione è come decorticare il chicco di un cereale.
Nel caso specifico, per parlare di fibre alimentari in maniera approfondita e scientifica dobbiamo però inquadrare con il microscopio ottico le pareti delle cellule vegetali: quelle che rivestono la superficie esterna dei cereali, che formano la buccia della frutta fresca e l’endosperma, il tessuto più esterno del seme che protegge l’embrione.
Ma come sono fatte le fibre che noi, più o meno scientemente, introduciamo con gli alimenti?
Sono carboidrati complessi (polisaccaridi a elevato grado di polimerizzazione, o oligosaccaridi) e polimeri di lignina, i quali ricadono nella macro categoria della fibra alimentare. La quale viene grossomodo definita dalle varie organizzazioni scientifiche internazionali come “ingredienti edibili di origine vegetale refrattari alla digestione enzimatica e al conseguente assorbimento attraverso i villi intestinali”.
Come può una parte spesso trascurabile di un alimento meritare così tanta attenzione e pubblicazioni scientifiche se noi non lo digeriamo e lo espelliamo dall’orifizio anale in maniera quasi immodificata?
Procediamo per gradi.
Dalla struttura molecolare le fibre dietetiche ereditano delle speciali proprietà: idratabilità, viscosità, fermentescibilità e capacità di scambio. Tuttavia, per convenzione, si classificano in base alla prima di queste in: fibre solubili e insolubili.
Le meraviglie delle fibre solubili
Le fibre solubili in acqua, fermentescibili e formanti gel includono:
- pectine (nelle bucce di mele, prugne, nella pellicina bianca degli agrumi, nell’uva spina, nelle verdure);
- idrocolloidi (gomme come guar, addensante comune di gelate e salse; xantano, addensante per la formulazione di salse, sughi, dessert e alimenti gluten free);
- alcune emicellulose (frutta, verdura, cereali e derivati come pasta, pane e crusca);
- mucillagini estratte dalla buccia di psillio, pianta erbacea;
- beta glucani (avena, crusca, lieviti, alghe e funghi);
- inulina (fonte naturale di frutto-oligosaccaridi e ricavata da segale e frumento, legumi, radice di cicoria, cipolle, aglio, carciofi, banane, porri, asparagi);
- galatto-oligosaccaridi (latte materno);
- glucomannano (nei datteri e ingrediente base degli spaghetti di konjac);
- amido resistente nelle sue varie declinazioni: RS1 (grani interi o parzialmente macinati da cereali e legumi), RS2 (grani lentamente digeribili, e ne fanno parte patate crude, banane acerbe, amidi ad alto contenuto di amilosio, frazione più difficile da digerire rispetto all’amilopectina), RS3 (polimeri di amido retrogradati, tipicamente nel pane raffermo e quando si lascia raffreddare la pasta), RS4 (amidi chimicamente modificati da composti organici) e RS5 (complessi amilosio-lipidici e maltodestrina resistente).
Un’alta viscosità ostacola il flusso: vale tanto per la cinetica delle colate laviche emesse da un vulcano quanto alla fisiologia umana. Fibre che si gonfiano di acqua superano più difficilmente la valvola pilorica dello stomaco alla volta del duodeno. Un ritardato svuotamento gastrico e un passaggio rallentato lungo l’intestino, ci fa sentire sazi più a lungo e al contempo rallenta e compromette l’assorbimento di alcuni nutrienti (glucosio, colesterolo, acidi biliari).
Le fibre solubili permettono un migliore controllo dei livelli ematici di glucosio e della secrezione insulinica postprandiali, assorbono il colesterolo alimentare e intrappolano i sali biliari che vengono eliminati riducendo il colesterolo risultante dalla loro degradazione. Colesterolo totale e LDL diminuiscono e se in combinazione con l’assunzione di statine le fibre solubili ne raddoppiano l’efficacia costringendo a una – sempre auspicabile in fatto di farmaci – riduzione del loro dosaggio.
La solubilità in acqua fa il paio con la capacità della fibra solubile a essere metabolizzata in assenza di ossigeno (dicesi “fermentata”) dai microbi intestinali.
La letteratura acclama le fibre solubili soprattutto per il loro effetto “prebiotico”, perché sono il pasto che nutre i batteri che abitano il nostro colon, favorendo in modo selettivo le specie benefiche.
Alcune fibre solubili, come i fruttani e i galatto-oligosaccaridi, comportano il rinvenimento nei campioni fecali mediante coprocoltura di una maggiore abbondanza di Bifidobatteri e Lattobacilli e del loro principale sottoprodotto di scarto, il butirrato.
Butirrato, acetato e propionato sono acidi grassi a corta catena (che d’ora in poi abbrevieremo con la sigla inglese, SCFA) tra i più consistenti nel corpo umano e altrettanto prodigiosi. Si rinvengono nel burro e in altri alimenti e sono altresì ottenuti dalla fermentazione di alcuni batteri buoni, come quelli appena citati. Questi ultimi fanno sistematicamente bene alla salute dell’ospite perché agiscono direttamente sull’asse bidirezionale intestino-cervello, nonché su altri sistemi a esso affiliati come quelli endocrino e immunitario.
Noi sappiamo infatti che a livello delle cellule endocrine e immunitarie, nei reni, nel sistema nervoso e nei vasi sanguigni sono espressi recettori con cui possono interagire gli SCFA ed essere di grande aiuto nella prevenzione primaria o secondaria di accidenti a carico di questi organi sensibili.
Le prodezze degli SCFA nel nostro organismo
Qui di seguito un “breve” riepilogo degli effetti positivi degli SCFA, esclusivi di quelli prodotti dai batteri e non di quelli presenti nei cibi che consumiamo:
- rappresentano un substrato energetico preferenziale per il cervello, la muscolatura e il cuore;
- garantiscono la sopravvivenza degli enterociti, le cellule dell’epitelio intestinale;
- smorzano il pH del tratto distale dell’intestino, il colon, favorendo l’assorbimento intestinale di minerali, calcio in primis, e inibendo la sintesi di sostanze potenzialmente cancerogene come gli acidi biliari secondari;
- riducono l’assorbimento dell’ammoniaca, neurotossica, perché ne stoppano a monte la sintesi accidentale durante la fermentazione batterica di frazioni proteiche non digerite;
- frenano la proliferazione di potenziali microrganismi patogeni;
- intervengono nel metabolismo lipidico riducendo l’assorbimento di colesterolo e i livelli ematici di colesterolo LDL;
- stimolano il rilascio della leptina prodotta dal grasso corporeo, dell’insulina secreta dal pancreas, e degli ormoni intestinali, tutti insieme concorrenti con l’aumento della sensazione di sazietà;
- migliorano l’ecosistema intestinale implementando il cross-feeding batterico e spalleggiando i batteri buoni che a loro volta migliorano il metabolismo lipidico e glucidico, aiutano intestino e sistema immunitario, ecc ecc.;
- vantano effetti immunomodulatori: rendono la barriera intestinale più compatta e impenetrabile a tossine e agenti patogeni, incrementano la produzione di muco che lambisce e protegge lo strato di enterociti affacciato sul lume intestinale, regolano i processi di differenziazione, reclutamento e attivazione di neutrofili, macrofagi e cellule T.
Se gran parte di queste azioni sono ascrivibili ai sopra menzionati acetato, propionato e butirrato, quest’ultimo esibisce anche un ruolo anticancerogeno: blocca la proliferazione e favorisce invece l’apoptosi, o morte cellulare programmata, delle cellule tumorali.
Le meraviglie delle fibre insolubili
Iniziamo, analogamente a prima, a documentare quali sono le fibre solubili e dove si trovano.
- lignina (cereali e derivati come pasta, pane e crusca, frutta e insalate crude);
- cellulosa e alcune emicellulose (cereali e derivati come pasta, pane e crusca, frutta fresca come mele, pere, prugne, frutta secca oleosa, ortaggi freschi come pomodori, finocchi, sedano, carote, cavolo, tuberi e zucchine;
- mannani (chicchi di caffè verde, datteri).
Se le fibre solubili rallentano il peregrinare del bolo alimentare lungo l’apparato digerente, si idratano, vengono smangiucchiate dai nostri batteri e quindi indirettamente aumentano il volume della massa fecale perché non vengono eliminate, quelle insolubili hanno destino e funzioni talvolta diametralmente opposte.
Vengono escrete, aumentando dimensioni e morbidezza delle feci, e agiscono da spazzine del colon trascinando con sé non solo i gas e l’acqua, che comportano un accelerato transito intestinale, ma anche molecole di derivazione alimentare o prodotte dal microbiota, residui di farmaci e sostanze tossiche, che predispongono alla lunga al carcinoma del colon-retto. Questa capacità sequestrante è da ascrivere a quella che è definita “capacità di scambio”.
La maggiore velocità di spostamento delle fibre insolubili può avere un significativo effetto lassativo e riduce la pressione esercitata sulle pareti intestinali, fattore che predispone alla malattia diverticolare.
Il maggior senso di sazietà è in questo caso indotto dall’ingombro fisico piuttosto che dall’accensione di segnali neuroendocrini che la favoriscono.
Il ruolo dell’asse intestino-cervello e come viene modulato dalle fibre
Con il passare degli anni e dei progressi nella ricerca, si sta sempre di più consolidando il ruolo cruciale dell’apparato gastrointestinale di decidere l’esito di salute o malattia del nostro organismo.
Esiste infatti uno stretto sodalizio con altre parti del corpo con cui comunica bidirezionalmente: sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario e – last but not least – il microbiota intestinale, un kg per 70 kg di peso corporeo di esseri viventi unicellulari e che per le sue numerosissime funzioni è surclassato a organo vero e proprio.
Gran parte di quello che banalizziamo con il termine “ambiente” è principalmente quello che mangiamo e il cibo che scorre nel tratto digerente è ancora parte dell’ambiente esterno fintanto che non viene assorbito e lo ritroviamo, scomposto in varie molecole, nel sistema circolatorio.
Questo passaggio fondamentale vede artefici le cellule che tappezzano la parete intestinale, gli enterociti, i quali proseguono la digestione enzimatica avviata nello stomaco e poi nel lume intestinale, devono riconoscere i nutrienti come tali per poterli assorbire e al contempo sbarrare la strada a sostanze dannose e organismi patogeni, che non dovrebbero passare nemmeno negli spazi tra una cellula e l’altra quando l’intestino funziona bene.
Per far star bene gli enterociti appunto, dobbiamo accertarsi che siano ben nutriti ed è qui che entrano in gioco le fibre solubili e la sintesi batterica degli SCFA, fonte principale di sostentamento delle cellule del tratto intestinale.
Rimpinguate le riserve di energia, alcune popolazioni di cellule intestinali inviano segnali ormonali al cervello, come GIP e GLP-1, tramite l’autostrada a doppia corsia del nervo vago.
Ipotalamo, enterociti e microbiota intestinale cooperano nel regolare fame e sazietà ed è tramite fibre, proteine e grassi soprattutto vegetali che ci accorgiamo più facilmente di essere sazi; viceversa, se la nostra dieta abituale è povera di fibre e alimenti vegetali e di converso ricca di cereali raffinati, zuccheri, proteine e grassi animali rischiamo di introdurre energie superiori al nostro reale fabbisogno perché non elicitiamo i nostri segnali omeostatici a monte del comportamento alimentare funzionale.
Abbiamo capito che per un controllo più oculato del peso abbiamo bisogno delle fibre, ma le leggi della termodinamica devono essere sempre tenute in considerazione: i cereali integrali, a parità di calorie, non fanno dimagrire di più rispetto a quelli raffinati se non si instaura un deficit calorico rispetto al nostro fabbisogno, ma come si è accennato, la sazietà arriva prima e dura più a lungo consumando cereali non privati della crusca e magari incominciando il pasto con una porzione di verdure, meglio se crude, per placare la fame iniziando a occupare spazio dentro il serbatoio gastrico. Un po’ come quando si fa la spesa: se si parte a riempire il carrello con verdure, ortaggi e frutta fresca (e, meglio ancora, se si cammina fino alla coda del supermercato e si raccoglie qualche confezione d’acqua), poi resterà meno spazio libero per tutti gli altri gruppi alimentari. La dieta deve essere sì frugale, ma soprattutto varia e bilanciata, senza privazione alcuna se non su consiglio del proprio medico o nutrizionista.
I pregi della fibra non si fermano qui: negli alimenti in cui sono presenti naturalmente, come nel caso della frutta a guscio, ai benefici ottenuti dalle fibre si sommano quelli di altri nutrienti preziosi alleati della nostra salute: una manciata di noci ad esempio contiene anche acidi grassi polinsaturi (omega-3 e omega-6, nel giusto rapporto nella fattispecie delle noci), vitamine B, E, sali minerali (magnesio, potassio, ferro, rame, fosforo e calcio), e numerosi antiossidanti della classe dei polifenoli.
Le fibre come scudo dalle patologie
In Italia, oltre un terzo di tutti i decessi è da imputare a infarti e ictus, stadi evolutivi terminali di condizioni patologiche trascurate e spesso coesistenti come dislipidemia, insulinoresistenza o diabete conclamato, ipertensione, obesità.
Al secondo posto, dopo l’eccesso di sodio dietetico (> 5 g/giorno) c’è una povera assunzione di cereali integrali ad aumentare il rischio di malattie cardio-cerebrovascolari.
Gli studi hanno evidenziato che un approvvigionamento di circa 50 g/die, raggiungibili con una porzione di alimenti integrali a colazione, pranzo e cena, possa ridurre la mortalità per cause cardiovascolari del 20% e di cancro del 12% (soprattutto a carico del colon-retto e tumori dove lo scarso introito di fibre è associato a obesità come quello a mammella, ovaio ed endometrio).
Obesità, stipsi ricorrente, uso protratto di FANS, immunosoppressori, paracetamolo e antidolorifici oppiacei, accoppiati a stile di vita sedentario e dieta ricca di carne rossa, carboidrati raffinati e povera di fibre dipinge spesso il quadro della diverticolosi del colon che può esitare in diverticolite che può a sua volta complicarsi (perforazione e talvolta conseguente peritonite, fistole, ascessi, flemmone intestinale, ecc).
Come causa principale di stitichezza, una dieta carente di fibre può più facilmente predisporre anche alla patologia emorroidaria, di cui secondo stime recenti ne soffrono almeno una volta più di una persona su 2 oltre i 40 anni di età, indipendentemente dal sesso.
La lista di patologie di cui la dieta è la principale indiziata nell’aumentare il rischio e dove le fibre sono coinvolte potrebbe riempire tante pagine da scriverci un libro: il messaggio che deve passare è che le cosiddette malattie del “benessere”, paradossalmente un ossimoro, hanno sempre a che fare con scelte consapevoli riguardo al nostro stile di vita, e che assumere fibre protegge noi e, nel caso di donne in gravidanza, soprattutto se con diagnosi conclamata di diabete gestazionale, anche il feto in via di sviluppo.
Qualche effetto collaterale e aspetto negativo
C’è però un risvolto della medaglia: la variabilità fenotipica, cioè di patrimonio genetico e ambiente, può farci reagire alla stessa dose ingerita di fibre diversamente, oppure può anche comportare sintomi e condizioni spiacevoli in caso di eccesso.
Normalmente si colpevolizzano i carboidrati raffinati, ma un eccesso di fibre vuol dire spesso carboidrati in eccesso rispetto agli altri 2 macronutrienti: se a prevalere sono proteine e grassi, c’è una disbiosi putrefattiva, alterazione patologica della “flora” intestinale che dà stitichezza, grasso nelle feci (steatorrea), flatulenza; viceversa si parla di disbiosi fermentativa, che scatena gonfiore e senso di tensione addominale, dispepsia, alitosi, diarrea, nausea, vomito, meteorismo, flatulenza. Se si assumono per un lungo periodo grandi quantità di fibre, le pareti dell’intestino si irritano e tutto questo può concorrere ad un’alterazione funzionale cronica del colon che all’esplorazione endoscopica risulta privo di alterazioni, ossia il colon irritabile. Mai abbassare la guardia ogni volta che insorgono sintomi fastidiosi e soprattutto se subentrano problemi di malassorbimento o si soffre di malattie infiammatorie croniche intestinali, come il morbo di Crohn o la rettocolite ulcerosa.
In categorie più vulnerabili dove il corretto apporto di micronutrienti (vitamine e minerali) viene soddisfatto a fatica, utilizzare fonti naturali di fibra può sollevare la questione della presenza di acido fitico (o inositolo esafosfato, per essere chimicamente rigorosi) e altri fitati, presenti ad esempio nel sesamo (5.4% del peso secco), nei semi delle leguminose come fagioli di lima (2.5%) e soia (1.4%) e con percentuali via via decrescenti in diversi cereali come mais, orzo, riso, grano e avena.
Sperimentalmente, sembra che questi composti chimici possano ridurre l’assorbimento di minerali molto importanti per la crescita, la salute delle ossa e il normale funzionamento di alcuni ormoni: ferro, zinco e calcio.
Se tuttavia volgiamo la nostra attenzione agli studi epidemiologici, non sono emersi reali rischi di carenze di micronutrienti, a dosi standard o superiori al proprio fabbisogno come ci si aspetta in una dieta a base prevalentemente vegetale.
I motivi sono diversi:
- le percentuali di fitati nei cereali non raffinati sono infatti appena sopra o sotto l’1%, valori influenzati anche dai processi di lievitazione, germinazione, fermentazione e cottura;
- gli alimenti vegetali controbilanciano ampiamente la quota di fitati con la loro ricchezza in potassio, vitamina C, K, vitamine del gruppo B come i folati, e tanti altri micronutrienti e molecole bioattive (antocianine, carotenoidi, quercetina, fisetina, ecc);
- gli SCFA derivati dalla fermentazione batterica delle fibre solubili, aumentando i valori di pH del colon, sono di ulteriore ausilio all’assorbimento dei suddetti micronutrienti.
I detrattori della fibra alimentare potrebbero far notare che la crusca e il germe di grano, orzo e mais potrebbero essere portatori di micotossine come il deossinivalenolo e lo zearalenone, ma il livello dei contaminanti è strettamente monitorato e definito da regolamenti europei. Motivo per il quale, per la fibra alimentare, naturalmente presente o addizionata, non sussistono criticità tali da essere controindicate nei soggetti sani, fatte salve eccezioni e consumi fuori dalla portata di un essere umano.
Stato del consumo di fibra alimentare in Italia
Camminiamo ancora lungo questo filo: indaghiamo i consumi di fibra alimentare nella popolazione italiana. Nel dossier scientifico delle linee guida per una sana alimentazione elaborato dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), è riportato uno studio, ormai datato oltre una decina di anni or sono (2013), dove risultano i seguenti apporti di fibra:
- bambini da 0-2.9 anni: 8 g/giorno;
- adolescenti maschi (10-17.9 anni): 18.1 g/giorno ovvero 7.1 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- adolescenti femmine 16.4 g/giorno ovvero 8.0 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- adulti maschi (18-64.9 anni): 19.6 g/giorno ovvero 8.4 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- adulti femmine: 17.7 g/giorno ovvero 9.2 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- anziani maschi (>65 anni): 21.6 g/giorno ovvero 9.6 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- anziani femmine: 18.7 g/giorno ovvero 10.4 g/1000 kcal introdotte con la dieta.
NB: Lo scarto di fabbisogno calorico tra maschi e femmine a parità di età, statura e livello di attività fisica (nei primi superiore di norma di 200-300 kcal) può rendere ragione delle stime numeriche confrontando le fibre totali con le fibre espresse come densità energetica (/1000 kcal).
Per ciascun sottoinsieme di popolazione il consumo tende a essere inferiore ai fabbisogni, specialmente negli adolescenti. Il consumo di fibre alimentari è un buon proxy della salubrità della dieta, che dà più spazio ad alimenti cosiddetti plant-based e soprattutto che predilige cereali e derivati integrali a quelli raffinati.
Il 43.3% della fibra consumata proviene proprio da questo gruppo alimentare. Per dovere di cronaca, i cereali integrali che potrebbero essere inseriti a rotazione per dare varietà e sostenibilità a lungo termine alla nostra dieta, soprattutto se ipocalorica, sono i seguenti:
- avena;
- miglio (senza glutine):
- amaranto (senza glutine);
- quinoa (senza glutine);
- grano saraceno (senza glutine);
- farro;
- sorgo integrale (senza glutine);
- teff (senza glutine);
- kamut;
- segale;
- orzo;
- mais (senza glutine);
- riso integrale (senza glutine);
- frumento integrale.
NB: per i celiaci, per dovere di informazione, riportiamo quali tra questi cereali in chicco il glutine è assente o in tracce.
Quante fibre introdurre nella dieta?
Dai numeri di quello che si mangia ai numeri di come si dovrebbe mangiare: è il momento di scoperchiare il vaso di Pandora. Ogni paese ha enti di ricerca che raccomandano livelli di riferimento per il consumo di fibra alimentare che possono variare. Il gruppo congiunto FAO/OMS ha stabilito che un individuo adulto dovrebbe consumare, indipendentemente da sesso, età e altre variabili, più di 25 g di fibra ogni giorno. Fatta eccezione per la UK Department of Health (Regno Unito), che raccomanda un consumo di 18 g/giorno, in altri paesi europei, negli USA (National Academy of Sciences) e in Giappone (Japan ministry of Health) si consigliano in media 30 g/giorno, 25 g/giorno per il sesso femminile in alcuni paesi e un picco di ben 38 g/giorno per gli uomini adulti statunitensi.
Concorde con queste indicazioni è anche il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro, ma viene suggerito di consumare ALMENO 30 g/giorno di fibra alimentare, e che sforando in positivo questa cifra non si può che trarre ulteriori benefici, in ambito oncologico e non solo.
La Bibbia dei nutrizionisti in Italia è il manuale dei LARN, Livelli di Assunzione Raccomandati di Energia e Nutrienti per la popolazione italiana, la cui ultima edizione è stata redatta l’anno corrente ma possiamo fare ancora affidamento alle indicazioni di quella precedente del 2014.
Qui di sotto riportiamo l’estratto riguardante le fibre dalle tabelle sui livelli di carboidrati totali:
- età evolutiva: 8.4 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- adulti: 12.6-16.7 g/1000 kcal introdotte con la dieta;
- Preferire alimenti naturalmente ricchi in fibra alimentare quali cereali integrali, legumi, frutta e verdura. Negli adulti, consumare almeno 25 g/giorno di fibra alimentare, anche in caso di apporti energetici <2000 kcal/giorno.
BONUS: alimenti dal più ricco al più povero in fibre
Se avete perseverato nella lettura di questo articolo, vi siete meritati il bonus: dove si trova la fibra nei comuni alimenti del territorio e cultura italiani, in ordine decrescente di concentrazione.
FIBRA TOTALE (in 100 g di alimento)
- Crusca di frumento: 42.4 g
- Bastoncini di crusca di frumento: 35.9 g
- Fagioli, Cannellini, secchi: 17.6 g
- Fagioli, Borlotti, secchi: 17.3 g
- Piselli, secchi: 15.7 g
- Pistacchio di Bronte DOP: 15.3 g
- Fave, secche: 14.7 g
- Fichi, seccati al forno e mandorlati: 14 g
- Farina di castagne: 13.8 g
- Lenticchie, secche: 13.8 g
- Castagne, secche: 13.8 g
- Cocco, essiccato: 13.7 g
- Ceci, secchi: 13.6 g
- Fichi, secchi: 13 g
- Mandorle dolci, secche: 12.7 g
- Fagioli dall’occhio, secchi: 12.7 g
- Mele, disidratate: 12.5 g
- Quinoa, cruda: 12.2 g
- Soia, secca: 11.9 g
- Farina di segale: 11.3 g
- Farina di soia: 11.2 g
- Albicocche, disidratate: 11 g
- Arachidi, tostate: 10.9 g
- Pistacchi: 10.6 g
- Germe di frumento: 10.5 g
- Grano saraceno: 10 g
- Crackers, integrali: 10.0 g
- Frumento duro: 9.8 g
- Frumento tenero: 9.7 g
- Noci pecan: 9.4 g
- Orzo perlato: 9.2 g
- Peperoni, cotti, in padella: 8.7 g
- Datteri, secchi: 8.7 g
- Miglio: 8.5 g
- Farina d’orzo: 8.5 g
- Tartufo, nero: 8.4 g
- Prugne, secche : 8.4 g
- Farina di frumento, integrale: 8.4 g
- Castagne, arrostite: 8.3 g
- Lenticchie, secche, cotte, bollite: 8.3 g
- Fiocchi d’avena: 8.3 g
- Pasta di semola, integrale: 8.3 g (nella pasta di semola non integrale ne abbiamo solo 3.2 g, quindi un maggior numero di carboidrati disponibili, più calorie e un indice glicemico più alto, da attenzionare nei diabetici)
- Carciofi alla romana: 8.1 g
- Nocciole, secche: 8.1 g
- Farina di frumento, duro: 8.0 g
- Cioccolato, fondente: 8 g
- Macadamia: 8 g
- Fagioli, cotti, bolliti: 7.8 g
- Fagioli, Cannellini, secchi, cotti, bolliti: 7.8 g
- Farina d’avena: 7.6 g
- Lamponi, freschi: 7.4 g
- Carciofi, cotti, bolliti: 7.4 g
- Rosmarino, fresco: 7.0 g
- Fave, secche, sgusciate, crude: 7 g
- Lievito di birra, compresso: 6.9 g
- Fagioli, Borlotti, secchi, cotti, bolliti: 6.9 g
- Farro perlato, crudo: 6.5 g
- Pane di tipo integrale: 6.5 g
- Muesli: 6.4 g
- Piselli, freschi, cotti, in padella: 6.4 g
- Piselli, surgelati: 6.3 g
- Piselli, freschi: 6.3
- Noci, secche: 6.2 g
- Riso integrale: 3.23 g (nel riso bianco ne troviamo solo 0.56 g ed è deficitario anche di vitamina B1)
- Pizza margherita con farina integrale 3 g (in una porzione standard di 250 g è pari a circa 7.5 g)
- Pizza margherita con impasto classico 2.7 g (in una porzione standard di 250 g è pari a circa 6.7 g)
Fonte principale: tabelle elaborate dal CREA
TIPS and TRICKS
Nel computo delle informazioni che fanno una corretta educazione alimentare non può non annoverarsi il capitolo sui consigli utili su come accrescere l’apporto di fibra.
L’obiettivo deve essere quello di far prevalere alimenti dove la fibra è naturalmente presente, piuttosto che alimenti industriali confezionati (grissini, crackers, fette biscottate o merendine). Prodotti dalla spesso chilometrica lista di ingredienti tra cui zucchero, mascherato sotto forma di “sciroppo di” o altre nomenclature sinonime, nonché additivi come emulsionanti ed edulcoranti artificiali.
Cavalcando l’onda salutistica dei consumatori più attenti, l’industria alimentare ha difatti aggiunto le fibre anche in molti prodotti lavorati e confezionati, così da potersi conquistare l’aggettivo “integrale” o il claim “ricco di fibre”. Una marca di biscotti o fette biscottate vendute come “integrali” potrebbero avere un contenuto molto ridotto di fibra e indurci nella stessa trappola degli alimenti spacciati come “proteici”. Il range del quantitativo di fibre di un prodotto integrale può essere esteso: a titolo di esempio, ci sono marche di biscotti che hanno 6 g di fibre/100 g di prodotto, ma anche altre con 12-14 g di fibre/100 g di prodotto. Ad ogni modo, per non cadere nel tranello preparato ad arte dalle aziende che fanno leva su mode e insicurezze, l’unica strada da percorrere è quella di confrontare le etichette alimentari di marche diverse di alimenti equivalenti, l’uno con e l’altro privo della dicitura “integrale” che ce lo fa percepire come migliore.
Ça va sans dire che bisogna cercare di optare preferibilmente per il pane e la pasta (e altre fonti di carboidrati) integrali rispetto alle versioni “lavorate”, e cereali o biscotti integrali, o meglio ancora l’avena, alla prima colazione.
Come secondo piatto, ricordarsi inoltre dell’esistenza insostituibile dei legumi e che se sono poco tollerati si può iniziare a introdurli a piccole dosi nella pasta o nel riso, per poi arrivare a una porzione vera e propria più avanti. Minestroni e zuppe di verdure, compagni di vita dei centenari sardi, andrebbero consumati più spesso per la fibra e per la collezione di acqua e micronutrienti che aiutano il metabolismo, rinforzano le difese immunitarie, sono alleate della salute cardiovascolare, delle ossa, della pelle, e così via.
Un ruolo chiave oltre ai cereali integrali lo coprono verdura e frutta, quest’ultima quando possibile mangiata con la buccia, per assicurarsi di coprire il nostro fabbisogno di fibre e in osservanza dei sani principi dello stile alimentare mediterraneo: le linee guida del CREA ne suggeriscono infatti il consumo di 5 porzioni totali giornaliere.
Una dieta sana è anche una dieta varia: nel caso dell’apporto di fibra, anche per trarre i vantaggi sia di quelle solubili sia di quelle insolubili.
Nel contesto di una stipsi ostinata e cattiva digestione, si raccomanda di accompagnare le fibre a una adeguata idratazione e alla pratica costante di moderato esercizio fisico, per accelerare il transito intestinale e potenziare le funzioni digestive.
Non necessariamente può avere un razionale scegliere il prodotto integrale: nel caso di biscotti o prodotti per la prima colazione, rapportata alla modica porzione di 30-40 g, quel quantitativo di fibra presente in 100 g diventa trascurabile. Abbiamo 24 ore di tempo per raggiungere il nostro fabbisogno giornaliero di fibre.
Si dovrebbe chiarire sempre quanto conti l’abitudine mantenuta nel tempo e che questa, etimologicamente parlando, è come un abito che indossiamo ma che ci dà libertà di movimento e possiamo cambiare, non sono catene che ci imbrigliano in una vita grigia fatta di regole da seguire pasto dopo pasto. Perché un’abitudine sana attecchisca e non mini la nostra salute mentale deve essere sana in senso lato, senza escludere il piacere del cibo e la convivialità. Se non ci piacciono certi prodotti come la pasta integrale non ha importanza se già variamo l’alimentazione e consumiamo cereali in chicco ricchi di fibre. Per le verdure possiamo sbizzarrirci con la tipologia e la modalità di cottura, idealmente cercando di alternare verdure crude a quelle cotte, meglio se a vapore, a microonde o alla piastra.
Conclusioni: puntare sempre alla Luna!
Queste righe dovrebbero fungere da monito sulla probabilità di ammalarsi più facilmente di malattie cardiovascolari, metaboliche e tumorali se non si assumono fibre alimentari, perché come abbiamo accennato, sottintendono un’alimentazione povera di alimenti di origine vegetale. Ma non bisogna guardare il dito se l’altro, in questo caso il nutrizionista, sta puntando alla Luna. C’è una correlazione dimostrata che è influenzata da numerosi altri fattori, inerenti in primis all’alimento da cui ricaviamo le fibre, così come fattori individuali e ambientali, dove dieta e attività fisica la fanno da padrone.
Resta pur sempre vero che una piccola nuova sana abitudine portata avanti ogni giorno può fare la differenza verso una migliore prevenzione di patologie, un maggiore benessere psicofisico e, nella fattispecie del peso corporeo, una perdita e un mantenimento migliori.